Né sì, né no: la potenza distruttiva dell’ambivalenza
In questo intervento ci soffermiamo su un aspetto spesso sottovalutato nella sua capacità di generare difficoltà in tutti i tipi di relazioni, dalla vita di coppia, alle relazioni di amicizia, al rapporto tra genitori e figli. Un aspetto che è anche, o forse soprattutto, capace di generare difficoltà nel rapporto tra sé e sé, nella chiarezza originaria di ciò che si prova, imprescindibile requisito del benessere psichico. Ci riferiamo all’ambivalenza.
“L’ambivalenza è la matrice delle incomprensioni più profonde in qualsiasi ambito relazionale e anche della difficoltà a capire la propria stessa condiziona emotiva”
Nel senso comune il concetto di ambivalenza si riferisce soprattutto a messaggi che arrivano al destinatario in forma confusa, criptica, poco chiara. Ci siamo già soffermati su questo tema in altri articoli, sottolineando soprattutto la necessità di un’attenzione particolare a come i messaggi che lanciamo ai nostri interlocutori escano “puliti” ed autentici. Ma le difficoltà diventano esponenziali (e l’esigenza di chiarezza diventa proporzionalmente ancor più necessaria) quando l’ambivalenza è originariamente dentro noi stessi e l’impasto emotivo cui dà origine è così complesso da risultare quasi indecifrabile (e generare, di conseguenza, “sintomi”).
Si tratta di un argomento molto studiato, soprattutto in ambito psicanalitico, e, in alcuni aspetti, anche dalla tradizione comportamentista. Qui ne diamo una trattazione extradisciplinare nel tentativo di cogliere un elemento universale su cui è opportuno che chiunque impari a porre la propria attenzione.
Partiamo da una constatazione sotto gli occhi di tutti. Le emozioni non sono mai “pure”. Sono sempre intrecciate tra loro, in un groviglio che il linguaggio, con tutti i limiti e le generalizzazioni di cui è portatore, cerca di sbrogliare. Ma è tutt’altro che semplice orientarsi nella contraddittoria articolazione delle emozioni ed avere un panorama ben delineato di ciò che accade. Facciamo qualche esempio: l’aspettativa di un uomo in procinto di diventare padre sarà carica di gioia, speranza e felicità, ma contemporaneamente sarà segnata anche da paure, dubbi circa la propria adeguatezza, preoccupazioni per lo sconvolgimento nel proprio equilibrio che la nascita di un bambino comporterà. Allo stesso modo una promozione sul lavoro porterà entusiasmo, senso di sfida e competizione, forza, ma spesso anche un claustrofobico senso di responsabilità che, al contrario, assorbe energie e riduce potenzialità. Ogni cambiamento è un’erma bifronte, una figura con una duplice faccia. Ed è opportuno vedere entrambe le fisionomie della stessa figura per non cadere nella confusione più assoluta.
Ma non solo i cambiamenti sono difficili da osservare nell’impatto emotivo che comportano: ogni relazione è portatrice di un “universo emotivo”. Quello che ognuno di noi prova per le figure più importanti della propria biografia (pensiamo al proprio padre, alla propria madre, ad amici e parenti che ci hanno accompagnato per lunghi tratti esistenziali, a compagni e compagne, e via dicendo) condensa in sé un’intera storia di vita. È immaginabile, dunque, che in ognuna di quelle matasse emotive ci siano fili di tanti colori. Con la prevalenza di una tonalità, certo, ma si tratta di un groviglio in perpetuo cambiamento, di episodio in episodio, di giorno in giorno, di fase di vita in fase di vita.
Nei confronti di un padre e di una madre, ad esempio, possono coesistere un sentimento di riconoscenza per la cura e le opportunità offerte, ma anche di rabbia per le mancanze subite; una sincera tenerezza nel vedere gli effetti del tempo che passa e un persistente risentimento per la difficoltà ad essere capiti occorse in diverse fasi della vita; il desiderio di una maggiore vicinanza emotiva e il contemporaneo allontanamento per la paura di essere feriti.
Ecco dunque che la difficoltà a distinguere, discernere, nominare ciò che ci accade emotivamente (e ad autorizzarci a viverlo per quello che è) genera un comportamento ambivalente nelle sue manifestazioni relazionali, e un disorientamento nei suoi contenuti intrapsichici, interni alla persona. Una confusione che, laddove i sentimenti in gioco sono particolarmente forti, può generare profondi conflitti interni, connotati spesso con senso di colpa, senso di inadeguatezza che poi sfociano nei sintomi “classici” di qualsiasi squilibrio emotivo, ansia e depressione su tutti.
Tant’è che la fase iniziale di una psicoterapia è spesso centrata sulla possibilità di fornire strumenti adeguati, da parte dello psicoterapeuta, per la comprensione di sé e del proprio mondo emotivo. Da lì prende avvio qualsiasi forma di comprensione e cambiamento individuale.