Essere chiari e onesti con se stessi (2)
Nello scorso intervento abbiamo soffermato la nostra attenzione sull’importanza di analizzare in profondità ciò che ci muove nelle nostre scelte e decisioni. L’autoinganno, infatti, ci aspetta sempre al varco laddove entrano in gioco le nostre paure e spesso interviene cambiando le carte in tavola per preservare la nostra autostima quando la rinuncia ad un obiettivo sarebbe troppo difficile e “pesante” da ammettere.
Questo è l’aspetto più frequente e più potente del modo in cui tutti noi fatichiamo ad essere chiari con noi stessi, ma non è l’unico. Come osservava già Vittorio Guidano, padre della Psicoterapia Post-razionalista, l’autoinganno è sempre all’opera nel determinare l’interpretazione di ciò che ci accade e nell’orientare le scelte che compiamo. E non solo come difesa dalla paura, ma più ingenerale come modo di porci rispetto a ciò che ci accade. E’ come se fosse parte della lettura che diamo del mondo, una sorta di lente attraverso cui “filtriamo” gli eventi per darcene una versione più coerente con i nostri temi di vita.
In quest’ottica, se la paura è uno dei motori principali dell’autoinganno, il secondo, in ordine di importanza, potenza e frequenza, è il bisogno di sentirsi accettati e accolti dagli altri. Fin dalle prime esperienze dell’infanzia, per ogni bambino è fondamentale riuscire a intrecciare una relazione con i suoi interlocutori, soprattutto il padre e la madre. Dalla qualità di queste relazioni e dal tipo di esperienze cui il bambino sarà esposto inizieranno a prendere forma in lui alcuni “temi di vita” che lo orienteranno nel mondo anche nell’età adulta.
Il sentirsi accettati – come dicevamo – è uno dei più importanti nella misura in cui l’uomo, per sua natura, è un essere sociale, relazionale e non può vivere senza i suoi simili. Ecco allora che, laddove nelle prime fasi dello sviluppo il bisogno di socialità e di riconoscimento reciproco non sia stato completamente soddisfatto, questo tema può diventare una “chiave di lettura” dell’esperienza individuale, rispetto al quale si strutturano diverse strategie.
Una, che ben conosciamo, è la fuga dai contesti sociali che possono comportare un giudizio. Togliersi dalla possibile esposizione agli altri è la strategia più semplice e diretta per evitare il rischio di non sentirsi accettati. E’ quella che, in termini tecnici, si definisce “fobia sociale”. Un’altra, altrettanto efficace, è l’accondiscendenza: compiacere a oltranza i propri interlocutori per “guadagnarsi” il riconoscimento degli altri. E’ come se l’appartenenza al gruppo dovesse essere “meritata” con comportamenti che non inneschino conflitti, che facciano sentire a proprio agio gli altri, anche a scapito di quello che si prova e si vuole in profondità. Accondiscendenza, quindi, come origine e fine dei comportamenti. Un’altra forma, tra le più importanti in senso clinico, in cui il bisogno di essere accettati si manifesta, è poi il narcisismo: una sorta di smisurato accrescimento dell’ego che, ancora una volta, pone il soggetto in una condizione di diseguaglianza e disparità con i propri interlocutori. E’ come se il narcisista si collocasse a una distanza protettiva, che lo tuteli da un’apertura alla relazione ed una profonda messa in gioco della persona.
Su tutto ciò – ed è il punto su cui stiamo concentrando l’attenzione, al di là degli specifici “temi di vita” – interviene la coltre bianca dell’autoinganno. Quasi senza accorgercene, con infinite giustificazioni, spiegazioni, spostamenti di ciò che è profondamente in gioco, depistiamo noi stessi dal capire che cosa ci muove. E’ così che, pur in un apparente movimento, nulla cambia: alla fine il movente ultimo dei comportamenti rimane nascosto, e finché non viene svelato – come si fa ad esempio in un percorso di psicoterapia – non può neppure essere affrontato.