Disagi psicologici da COVID: i più colpiti sono i giovani
Dopo una lunga pausa (dovuta anche ad un aumento considerevole delle persone che si trovano in difficoltà psicologica per il Covid e che dunque chiedono una psicoterapia o un intervento di sostegno psicologico) riprendiamo il nostro percorso.
Nell’ultimo intervento ci siamo concentrati su un dato epidemiologico: in tutto il mondo coinvolto dalla pandemia da Coronavirus si registra un aumento esponenziale di forme di disagio psicologico assegnabili soprattutto alle classiche categorie di ansia, depressione e disturbi relazionali. Le agenzie sociali deputate a monitorare la salute pubblica locale, così come qualsiasi psicoterapeuta lecchese, non possono che confermare questo drammatico dato mondiale.
Ma ciò che i dati statistici ci dicono in modo ancor più chiaro è anche che non tutte le fasce di età sono ugualmente esposte a queste forme di disagio che il prolungato periodo di deprivazione forzata dei contatti sociali ha generato. I più colpiti sono i giovani e i giovanissimi. Di loro si parla poco (nella misura in cui “non hanno voce” negli spazi del dibattito pubblico e delle decisioni politiche) ma a loro va destinata la maggior attenzione da parte delle istituzioni, delle categorie socio-sanitarie, della scuola e di ciascuno di noi (che sia padre, zio, nonno o, semplicemente, cittadino).
L’uomo è, anzitutto, relazione, socialità, condivisione delle attività – abbiamo osservato nello scorso intervento – Senza questa possibilità di espressione di sé si sottrae, a ciascuno di noi, la parte più vitale. Ma se per un adulto perdere due anni di vita relazionale è “semplicemente” frustrante, doloroso, limitante, claustrofobico, logorante (ed ognuno ci metta il termine che meglio descrive il proprio stato d’animo),
l’annullamento della vita sociale per un adolescente è castrante e per un bambino rappresenta un rallentamento dello sviluppo relazionale (fortunatamente parziale e transitorio).
La vita di un adolescente è fatta del contatto, fisico ed affettivo, con gli amici: le serate in compagnia, i compiti da fare insieme, lo sport, le uscite in bicicletta, in scooter, in auto. E poi baci, abbracci, corteggiamenti. E poi ancora rivalità, conflitti, competizione (che diventano spesso sfottò e piccole scaramucce fisiche) dove si fa “palestra” in vista di quella che sarà la vita adulta. Mettiamoci pure qualche superamento dei limiti di ciò che è consentito o legittimo fare.
Ecco, tutto questo da un anno e mezzo non è più possibile. Tutte queste esperienze, vitali per un adolescente ed essenziali per la sua crescita, è come se si fossero congelate.
A maggior ragione la vita di un bambino si costruisce attorno alla complicità e alla vicinanza autentica con le proprie figure di riferimento, fatta di attenzioni, sguardi, condivisione di attività, giochi fatti insieme. Questo complesso e articolato movimento relazionale costruisce il mondo affettivo del bambino e la base delle sue competenze sociali. Le figure di riferimento, in questo processo, sono i genitori, ovviamente, ma anche nonni, zii, cugini, i primi amichetti dell’asilo o di scuola e tutti coloro che entrano in contato con il bambino.
Anche in questo caso il Covid, e la segregazione alla quale ci ha costretto, ha obbligato molte famiglie a isolarsi in difesa della propria ed altrui salute. La conseguenza è che questo processo naturale che mette in relazione il bambino con il mondo, alla base della costruzione di un individuo, è stato rallentato e si è limitato a poche figure di riferimento.
Ecco dunque che, in questa fase di lenta ricostruzione della nostra socialità, resa possibile dall’efficacia di vaccini e terapie che la medicina ci ha messo a disposizione, la maggior attenzione deve andare ai bambini e ai ragazzi: dar loro la possibilità di stare insieme (per quanto possibile in rapporto all’andamento della pandemia e alla sicurezza dell’intera comunità) e fare tutto ciò che fino a due anni fa era scontato, ed oggi sembra quasi un privilegio.