“Devo imparare a farmi scivolare le cose addosso!”
In quest’ultimo intervento del 2019 affrontiamo un vero e proprio imperativo del senso comune. Lo potremmo sintetizzare con quest’espressione: “Devo imparare a farmi scivolare le cose addosso!”. Si tratta di un’indicazione talmente frequente e scontata che su internet si trovano piccoli libretti di istruzioni su che cosa si debba fare per non farsi ingaggiare troppo dagli eventi della vita, soprattutto laddove comportino emozioni spiacevoli. Ci sono addirittura dei “tutorial” che illustrano passo passo come comportarsi per “farsi scivolare le cose addosso”.
Ma proviamo a farci qualche domanda in più circa l’opportunità di questo tipo di atteggiamento mentale. La prima è la seguente: siamo sicuri che una tale disposizione sia funzionale al benessere personale? Iniziamo ad introdurre, così, qualche distinzione e specificazione che ci aiuti ad orientarci.
Siamo sicuri che “farci scivolare le cose addosso” sia un buon modo per vivere meglio?
Se per “farsi scivolare le cose addosso” intendiamo il fatto di evitare la ruminazione ossessiva attorno a questioni di poco conto, siamo tutti d’accordo. Ed è quasi superfluo dirlo. Il punto diventa allora un altro: perché ci arrovelliamo attorno a questioni apparentemente insignificanti (ognuno le sue) e di scarsa importanza? E, soprattutto, come si fa a non entrare nel turbine della ruminazione che non produce effetti? Se ciascuno fosse in grado di governare tali pensieri ed emozioni non servirebbero le indicazioni dei tutorial per superarli. Viceversa, se tali pensieri diventano ingestibili non sarà un semplice “libretto di istruzioni” a placarne la potenza.
Proviamo a seguire, dunque, un’altra strada. Se un evento, una frase, una circostanza ci ha colpito, vuol dire che ha toccato qualcosa di importante per noi, a prescindere da come possa essere visto e valutato dall’esterno. A volte è sufficiente un episodio apparentemente piccolo, come dicevamo (la frase offensiva di una persona cara, il comportamento inaspettato di un amico, anche un semplice sguardo di disapprovazione) per generare grandi effetti emotivi. Si tratta – forse – di piccole cose se valutate “in sé”, al di fuori di qualsiasi contesto e storia di vita. Ma ciò in cui affondano le radici, se ci hanno colpito così intensamente, è più profondo di quanto possiamo pensare e riusciamo a vedere.
Si tratta di radici, quelle attraverso cui qualsiasi episodio di vita si radica in noi, che si biforcano lungo due direttrici principali: l’attualità esistenziale, da una parte, e la storia di vita, dall’altra. E di entrambe è opportuno tenere conto per comprendere ciò che ci sta accadendo. Proviamo a fare qualche esempio, riferendoci, per cominciare, all’attualità esistenziale. Se sto attraversando una fase di vita in cui non mi sento molto apprezzato sul lavoro né particolarmente stimato in famiglia, qualsiasi evento – anche se piccolo – che intercetti questo tema (la scarsa stima di sé o un senso di inadeguatezza nell’uno o nell’altro ambiente) produrrà uno stato emotivo di rabbia, di dolore o, ancora, di demoralizzazione e perdita di forze. È logico aspettarselo, ed ha senso prendersene cura anziché soffocarlo, reprimerlo o non considerarlo, perché dice qualcosa di importante per chi lo sta vivendo. Non tanto in rapporto al singolo episodio in sé, quanto rispetto alla fase che sta attraversando e ai suoi “nervi scoperti”.
E se nella storia di vita di ciascuno di noi (e qui veniamo alla seconda “radice”) il senso di inadeguatezza è da sempre un “tema”, nella misura in cui è mancata sin dall’infanzia una certa considerazione e valorizzazione delle proprie capacità, è chiaro che una suscettibilità e sensibilità al rifiuto, alla disconferma, all’esclusione e alla squalifica personale diventerà un tratto persistente della propria esperienza in qualsiasi contesto. E anche lungo la direttrice biografica è dunque opportuno focalizzare questo tema e “lavorarci”, comprendendone la genealogia, gli effetti, i meccanismi, diretti ed indiretti, che ne mantengono la forza e la pervasività.
Solo così sarà possibile “superarlo”, da soli o con l’aiuto di uno psicoterapeuta.
Se vogliamo riassumere questo concetto in un’unica, sintetica, indicazione possiamo esprimerci in questi termini: gli stati emotivi non sono mai “casuali” né “ingiustificati” né “insignificanti” ed è difficile superarli semplicemente imponendosi un certo atteggiamento mentale (“lasciarseli scivolare addosso”). Laddove si noti una sproporzione evidente significa che si è toccato un nervo scoperto, un aspetto personale particolarmente sensibile e delicato, di cui è opportuno occuparsi. Quando, addirittura, uno stato emotivo di prostrazione, impotenza o rabbia diventa una condizione stabile ed immodificabile dell’esperienza personale, a prescindere dal contesto e dalle circostanze, è opportuno rivolgersi ad uno specialista per ripristinare una forma di equilibrio che permetta poi di lavorare sui temi personali più delicati e dolenti.