Scappa, Scappa… Ma che accadrà dopo?
In questo nostro incontro virtuale, per introdurre il tema dell’evitamento, partirò da domande molto elementari, e dalla risposta scontata. Qual è la prima cosa che vi viene naturale fare quando provate paura? Scappare! E quando qualche avvenimento vi tocca nel profondo provocando un dolore molto intenso, sia in senso fisico che morale? Scappare! E quando una situazione è così monotona e ripetitiva da provocare una noia mortale? Scappare!
A ben guardare la fuga, ossia l’evitamento, è una delle modalità più ancestrali e più potenti che l’uomo abbia a disposizione per rispondere a un ampio spettro di condizioni di disagio. Che sia dolore, paura, noia, sconforto, impotenza, senso di inadeguatezza, fatica o, in alcuni casi, persino rabbia ciò che sperimentiamo, la fuga è spesso la prima risposta che ci viene automatico adottare.
Ed in effetti è efficace, probabilmente come nessuna altra strategia che madre natura ci abbia messo a disposizione. Produce però degli “effetti collaterali” talvolta più potenti della condizione emotiva che intende estinguere, soprattutto laddove sono in gioco paura e dolore, o, peggio ancora, il loro intreccio. Ci concentreremo, quest’oggi, su due dei più devastanti “effetti collaterali” dell’evitamento, ben noti ai clinici di qualsiasi formazione: la crescita esponenziale della condizione di disagio di partenzae la minaccia rispetto alla propria autostima.
Mi aiuterò come sempre con degli esempi. La crescita esponenziale del disagio di partenza la possiamo esemplificare con il classico caso dell’esame scolastico. Se evito di affrontare quella prova (e qualsiasi altra) perché il timore che sperimento è troppo intenso, la volta successiva la paura sarà ancora più forte, e l’esame ancora più difficile da affrontare. E’ una constatazione pressoché universale, ben nota anche al senso comune, fatta salva la considerazione che poi quest’ultimo riabilita sotto altra forma (come nell’esempio della scorsa settimana dell’insistenza sul “bicchiere mezzo pieno” a oltranza, classico esempio di evitamento) ciò che ha stigmatizzato altrove (“le difficoltà vanno affrontate, non evitate”, consiglia l’uomo della strada).
Tutto ciò che non affronto, per paura o perché troppo doloroso, lo ritroverò, ancor più “potente”, nel prosieguo del mio percorso di vita. E’ il caso del paziente di cui abbiamo parlato nello scorso intervento, che alla fine ha perso sua moglie perché non ha mai trovato la forza perlomeno di affrontare ciò che non andava nel loro rapporto.
Ma l’effetto collaterale più sottilmente minaccioso dell’evitamento sta nelle conseguenze che comporta per l’autostima, ossia per la considerazione che ognuno di noi ha di sé stesso. Osservare la propria incapacità di affrontare la paura o il dolore, prima ancora di ciò che ne è causa, retroagisce come un boomerang su di noi e sulla nostra vita, minando alla base l’idea che abbiamo di noi stessi.
A ben guardare questo è un frutto velenoso che la natura non poteva tenere in considerazione, nella misura in cui riguarda solo l’uomo (ossia è un fenomeno culturale, che segue altre vie rispetto all’evoluzione biologica). E’ infatti attraverso il linguaggio e il pensiero autoriflessivo (in una parola, la cultura) che l’uomo può raccontarsi ciò che fa e quindi costruirsi un’identità individuale. L’animale scappa e basta, per proseguire sull’esempio della fuga. Una volta che ha salvato la pelle non ci sono “resti” da dover gestire. Per l’uomo è diverso perché la partita più importante e più difficile della vita – come già osservava Platone – si gioca sul piano del giudizio degli altri (e di conseguenza di sé stessi).
Tirando le fila del discorso possiamo esprimerci in questi termini: l’evitamento e la fuga, come tutte le modalità comportamentali che madre natura ci ha messo a disposizione, sono una risorsa perché possono toglierci da situazioni spiacevoli in men che non si dica, però sono da utilizzare con parsimonia e con una consapevolezza completa di ciò che si sta facendo perché gli “effetti collaterali” dell’evitamento, come per i farmaci più potenti, possono essere più pericolosi dei benefici.