Santa rabbia (…Da maneggiare con cura)
Oggi parliamo di un’emozione tanto vituperata e osteggiata dal senso comune da risultare quasi bandita dalla possibilità di essere legittimata e quindi espressa: la rabbia. Ricollegandoci a quanto detto nello scorso intervento possiamo osservare che se l’accondiscendenza non viene quasi mai riconosciuta nei suoi possibili effetti nefasti sul benessere personale e nelle relazioni, allo stesso modo la rabbia viene indicata quasi esclusivamente come fattore perturbante e nocivo tanto nella sfera individuale che in quella sociale. Ed in effetti la rabbia porta scompiglio – come negarlo? – ma come tutte le istanze emotive fortemente perturbanti manda anzitutto un segnale: un certo equilibrio (piccolo o grande che sia) si è rotto; in seconda battuta mette a disposizione l’energia necessaria per trovare un nuovo punto di sintesi che produca maggior benessere.
Laddove si manifestino sintomi conclamati è opportuno rivolgersi ad uno psicologo e psicoterapeuta per una corretta diagnosi e terapia
A ben guardare, nessuna emozione come la rabbia “lavora” per il benessere individuale. Esprime, infatti, un’insofferenza rispetto a ciò che non va bene a noi e solo a noi, gioca esclusivamente la nostra partita. Altre emozioni altrettanto potenti (come il senso di colpa, la vergogna, il senso di inadeguatezza, la paura rispetto a un contesto sociale) esprimono un’attenzione rivolta più alle esigenze e richieste altrui che alle nostre, o alla conformità sociale rispetto alle regole condivise, o ancora alle aspettative di cui siamo costantemente investiti.
La rabbia no! La rabbia esprime esclusivamente un moto di ribellione rispetto a ciò che fa star male noi e nessun altro. Che sia la zanzara che non ci lascia dormire tranquilli di notte, una parola fuori luogo espressa da chi amiamo, una piccola-grande ingiustizia subita… la rabbia interviene in nostra difesa. E lo fa con la modalità che gli è propria: un impeto di energia volto a cambiare le cose.
Per questo motivo è importante intercettarla e “comprenderla”. Mette infatti a nudo aspetti importanti di noi, che hanno a che fare sia con la nostra storia di vita (rispetto a come la rabbia stessa si è costruita nella nostra esperienza, a come la sappiamo riconoscere, vivere, padroneggiare) sia con la nostra attualità (relativamente a qualcosa che oggi, in questo momento, è per noi insopportabile o difficile da gestire). Riconoscerla, legittimarla, comprendere come funziona in noi e quali “temi” la innescano (l’ingiustizia, il senso di impotenza, il dolore, ecc…) significa anzitutto non subirla, e quindi, indirettamente, decidere con maggior padronanza come permettere che si esprima ed operi. Significa anche prevenire la sua degenerazione in un possibile sintomo, come la depressione, dietro cui spesso si cela una rabbia inespressa e neppure riconosciuta.
Poi, rispetto alla possibilità dell’espressione della rabbia stessa, si gioca un’altra partita fondamentale. E’ chiaro che in un contesto sociale non tutto può essere espresso per come viene percepito, e, nella maggior parte dei casi, neppure chi sperimenta rabbia desidera che si liberi come un flusso inarrestabile. Però è importante riconoscere ciò che accade, legittimarlo, per poi modularlo in rapporto a ciò che ha senso esprimere e ciò che, al contrario, ha senso “trattenere”. Nella consapevolezza che ciò che non verrà espresso avrà un “costo” emotivo da sostenere in termini di risentimento, rimuginio e ruminazione cognitiva, “fatica” relazionale, e via dicendo. Ma, in alcune circostanze (non in tutte!), è un costo del quale è opportuno farsi carico.
Insomma, è un equilibrio delicato quello che si gioca attorno al tema della rabbia, sia in termini di benessere personale che di successo relazionale, ma è sicuramente fuorviante una sua demonizzazione tout-court, quasi come se fosse un ospite inquietante da cui doversi guardare.