I Gemelli uccisi dal padre. Perché?
Ora che la tragedia consumatasi la scorsa settimana in Valsassina ha avuto il suo epilogo finale (il funerale di Elena e Diego, uccisi dal loro padre, Mario Bressi, che poco dopo si è tolto la vita) è possibile abbozzare qualche interpretazione.
La domanda che più sconvolge le coscienze è la seguente: che cosa può spingere un genitore ad uccidere i propri figli? Una domanda di tale natura, ovviamente, non ha una sola risposta. O forse, in senso ancor più radicale, non ha risposta. Iniziamo a fare una distinzione, che può aiutarci a riflettere su un dramma così profondo. Se il nostro intento è dare una valutazione etica, morale, o anche solo emotiva, di ciò che è successo (ossia esprimere un giudizio) siamo di fronte a qualcosa di sconvolgente, abissale, un buco nero in cui implode qualsiasi categoria di senso e di giudizio.
La scelta del signor Mario Bressi è semplicemente in-umana o dis-umana: non c’è parola che possa commentarla.
E, forse, non è neppure opportuno farlo.
Se invece il nostro intento è cercare di comprendere ciò che è successo possiamo appellarci a tutto quello che che la psicologia ha imparato su come si costruisce il mondo emotivo di un individuo e su che cosa può portarlo alla totale implosione.
Iniziamo con il dire che è impossibile entrare nella mente di una persona. Questo aspetto è sempre opportuno ricordarlo per non cedere a facili semplificazioni. Possiamo però fare delle ipotesi generali, cercando di cogliere qualche spunto.
Una delle frasi che più mi ha colpito di quelle indirizzate dal signor Bressi alla moglie è la seguente: “Hai rovinato la nostra famiglia”. È come se l’intenzione della moglie di separarsi avesse spezzato un sogno, rotto l’incantesimo di una vita felice (magari idealizzata). E allora possiamo immaginare il dolore, la rabbia, il senso di smarrimento, la paura, l’impotenza, l’angoscia dell’abbandono. Una miscela esplosiva che evidentemente si è innestata su una fragilità personale molto profonda. E, forse, su una solitudine esistenziale che non ha permesso al signor Bressi di stemperare, almeno in parte, la potenza di emozioni così dirompenti e di articolare possibili spiegazioni di quello che stava accadendo e di come avrebbe potuto affrontarlo.
Non c’è mai una sola causa di eventi così terribilmente drammatici. C’è un intreccio di vissuti angoscianti che si alimentano l’un l’altro e si amplificano esponenzialmente senza tregua, senza respiro, dando luogo ad una spirale che si avvita su se stessa in modo sempre più stringente, fino a non lasciare nessuno spiraglio di luce, di aria, di vita. Un buco nero da cui nulla può uscire.
La rabbia acceca, così come il dolore e la paura. Il mondo emotivo si pietrifica sotto il peso di istanze così potenti e ingovernabili. Tutto prende una nuova luce, tetra, funerea, tenebrosa. Possiamo immaginare che il signor Bressi ad un certo punto abbia visto la propria morte come unica via d’uscita ad un dolore insopportabile e ad una rabbia esplosiva. Ma l’aspetto sicuramente più sconvolgente è la scelta di dare la morte a chi si ama, i propri figli, e non ha alcuna colpa. Soprattutto quando riguarda l’innocenza dei bambini. Qui deve aver avuto un ruolo determinante la rabbia. Rabbia per colei che, nello sguardo deformato e deformante del signor Bressi, è stata responsabile della fine del sogno e dell’inizio dell’incubo. Una rabbia che non permette di vedere altro se non il proprio oggetto: chi ha la colpa della rottura dell’incantesimo.
Ecco allora che il mondo si rimpicciolisce, fino a diventare puntiforme: esiste solo il dolore per sé e la rabbia verso colei che l’ha provocato. Tutto si concentra su quell’unico elemento, a cui si attribuisce una responsabilità assoluta ed esclusiva. Prende così corpo la fine, la morte, per sé, e una condanna ancor più terribile per colei che – nella sua mente – ha la colpa di tutto questo. Una vendetta quasi impossibile da concepire. Come ha scritto Mario Bressi: “Non li rivedrai mai più”.
C’è un punto oltre il quale la razionalità non si può inoltrare perché la foresta diventa buia e impenetrabile. Le tematiche esistenziali ed emotive, ossia le forze più potenti della vita (sia in senso drammatico che vitalistico) possono essere avvicinate, evocate, rappresentante simbolicamente, narrate e, in qualche misura, com-prese, ossia “prese insieme”. Ma non “spiegate”, ossia ridotte solo ad una spiegazione razionale, soprattutto di fronte a tragedie, come questa del signor Bressi e della sua famiglia, che lasciano senza parole. E senza respiro.