Che cos’è un’emozione?
Che cosa sono le emozioni? Da dove “vengono”? E a che cosa servono?
Nello scorso intervento ci siamo soffermati nell’approfondire, anzitutto, che cosa le emozioni non sono. Abbiamo dunque sottolineato il fatto che le emozioni non sono malattie (neanche le più spiacevoli ed invalidanti, come il dolore, la rabbia e la paura), e non sono neppure oggetti universali, ossia uguali per tutti (ciascuno vive a proprio modo le emozione “codificate” in una collettività).
In questo intervento cercheremo di dare qualche indicazione su che cosa, invece, le emozioni sono.
Da un punto di vista descrittivo e naturalistico, un’emozione è una reazione affettiva determinata da uno stimolo ambientale esterno (come un pericolo, una minaccia) o da uno stimolo interno (come un ricordo, una percezione). Questi “inneschi” agiscono a tutti i livelli del funzionamento della persona: organico, percettivo ed interpretativo. A livello organico (ossia fisiologico) un’emozione coinvolge tutto l’organismo nella sua interezza e complessità (respirazione, sudorazione, tensione muscolare, circolazione sanguigna e tutti i sistemi sensoriali e percettivi). Chi vive un’emozione la sperimenta anzitutto nel proprio corpo. In tutto il corpo! L’emozione è quindi, nella sua immediatezza, una percezione di sé e del proprio stato.
L’espressione del senso comune “avere il cuore in gola”, spesso utilizzata come sinonimo di paura, affanno e spavento, dà bene l’idea di come la corporeità sia inscindibile dalla percezione dell’emozione (ciò che l’individuo sente). La percezione di un’emozione passa anzitutto dalla sua componente corporea immediata.
Tant’è che lo stato emotivo che un individuo sta vivendo lo si percepisce da moltissimi indizi corporei: postura, mimica facciale e corporea, comportamenti volontari ed involontari. In ogni momento, tutto parla di noi e di ciò che sperimentiamo emotivamente.
Come dimostrano anche le ricerche contemporanee di neuroscienze, quando una persona si innamora, subisce un lutto, o vive una particolare condizione di vita, nel suo cervello e nell’organismo intero avviene una rivoluzione.
Vi è poi la cosiddetta componente psicologica. La potremmo spiegare in questi termini: è come l’individuo interpreta ciò che sta sperimentando e il significato che gli attribuisce in rapporto a come conosce sé stesso, al contesto in cui si trova e all’esperienza di cui è appena stato protagonista.
Se sento rumori sospetti in casa mia nel cuore della notte è chiaro che tutte le reazioni fisiologiche, somatiche, comportamentali e cognitive che avrò le interpreterò in termini di paura (“Sarà entrato un ladro in casa?”). E, in rapporto a come mi conosco (come reagisco al pericolo, che risorse mi sento in grado di mettere in gioco, come agisce in me la paura, e così via) “leggerò” ciò che mi accade e il mio stesso comportamento.
La maggior parte delle emozioni che viviamo nella nostra quotidianità le padroneggiamo senza particolari problemi. Eppure ci sono reazioni che sorprendono anche noi stessi e di cui non riusciamo a fare una corretta interpretazione ed attribuzione.
Il primo effetto che suscita il non riuscire a capire quello che proviamo è un’amplificazione di quello stesso stato emotivo e un profondo senso di disorientamento e paura. Entriamo, così, in un terreno molto prossimo a quello che oggi viene indicato con le classiche categorie psicodiagnostiche di ansia, depressione, attacco di panico, e via dicendo.
Come abbiamo già avuto modo di osservare, la differenza tra paura e attacco di panico, ad esempio, sta sostanzialmente nella possibilità di identificare l’oggetto che suscita quel tipo di reazione (la paura è sempre riferita a qualche cosa, l’attacco di panico no). Allo stesso modo tristezza e depressione differiscono, oltre che per l’intensità del vissuto, per la possibilità o meno di identificare il fattore che lo suscita.
Ecco dunque che è importante conoscere le emozioni (per come sono codificate socialmente) e, ancor più, nel proprio modo di viverle e sperimentarle. Illustri ricercatori e intere scuole di pensiero (dalla psicoterapia narrativa alla fenomenologia, dal cognitivismo costruttivista alla psicoterapia centrata sulla persona) sostengono che gran parte del disagio psichico (ad esclusione delle forme di psicopatologia più gravi) risiede proprio nella difficoltà nel dare una corretta lettura emotiva di sè.
Benessere, dunque, nel senso della capacità di riuscire a dare un nome a ciò che proviamo, di definire il contesto di emersione in cui si verifica, e di ricondurlo al proprio modo d’essere e alla propria storia di vita.